Caro George,
è un piacere incontrarti di nuovo. Rieccoci qui, a parlare di Bach, questa volta. Lasciami iniziare dal principio: la tua carriera è indissolubilmente legata a Beethoven (tutto cominciò il 1° marzo 2009 giusto?) sia come performer del International Beethoven Project https://www.internationalbeethovenproject.com/ sia come talentuoso organizzatore del Beethoven Festival, quest’ultimo, a Chicago, dal 2011.
E ora ti dedichi allo “studio di registrazione”…
Certo tutto ebbe inizio il 1° marzo 2009, ma anche prima! Tutto cominciò per davvero il 22 maggio 1991 quando nel primo concerto pubblico che diedi c’erano due Sonate di Beethoven (l’op. 2 n. 2 e l’op. 26). Da che ricordi Beethoven è sempre stato il mio compagno musicale più importante e ora sento di conoscerlo bene. Quando, dieci anni fa, mi chiesero di organizzare e interpretare https://www.youtube.com/watch?v=jl_w9WCYf7A la prima mondiale del Trio con pianoforte Hess 47 (vedi anche il catalogo di queste opere realizzato da James Green https://www.amazon.it/nuovo-catalogo-delle-opere-Beethoven/dp/8887203504) fu anche perché la mia carriera di performer era già associata alla musica di Beethoven.
Poiché ho sempre sentito una grande affinità con Beethoven e credo di riuscire a trasmettere il suo spirito di coraggio, creatività e compassione, ho fondato il Beethoven Project, l’associazione non profit che organizzò la prima del Trio e poi il Beethoven Festival.
Mi sono impegnato in “studio di registrazione” (in effetti, una chiesa) per cinque giorni e cinque notti per registrare il Clavicembalo ben temperato di Bach nell’agosto 2017. C’è voluto molto tempo per giungere a questo risultato, un paio di anni per completare il progetto e per prepararne la pubblicazione, prevista per il 14 febbraio 2020 per la Orchid Classics www.bach48.com/redesign/pre-order
Impegnarmi in questa registrazione non ha però escluso le mie altre responsabilità lavorative.
Lampi di ispirazione? Da dove ti sono venuti? Oppure, qualche difficoltà?
Bella domanda! Ho risposte diverse. Ho suonato la musica di Bach sin da quando ho iniziato a suonare il pianoforte, a tre o quattro anni, come la maggior parte degli studenti. Probabilmente ho aperto la partitura del Clavicembalo ben temperato a sette o otto anni quando la mia insegnante di allora, Elena Varvarova, pensò fosse giunto il momento di lavorare su alcuni Preludi e Fughe, essenziali all’educazione di un buon musicista. Ma la scintilla scoccò più tardi, più o meno a vent’anni, quando il Clavicembalo ben temperato divenne un esercizio quotidiano, come parte del mio riscaldamento. Aprivo la partitura e suonavo un Preludio e una Fuga e, progressivamente, mi sono familiarizzato con questa musica incredibile che è sempre un ottimo inizio per sgranchirsi le dita, ma è pure un arricchimento spirituale. In quegli anni ho pensato che sarebbe stato bello poter suonare tutte e quarantotto le coppie di Preludi e Fughe in concerto, o magari registrarle, ma all’epoca ancora un progetto vago.
Quanto tempo ci è voluto per realizzare l’intero progetto? Ricordi una storia particolare legata a questo lungo periodo di duro studio?
Nel 2014 ho deciso di prendere sul serio quest’idea inizialmente vaga; dopo diversi anni trascorsi nell’organizzazione del festival che mi hanno portato a un punto di esaurimento psico-fisico, sentivo anche bisogno di approfondire questa musica per riconnettermi con me stesso. Ho intuito che Bach poteva aiutarmi, quindi ho iniziato a concentrarmi prima sui Preludi, e ho eseguito l’intero Libro I di Preludi in concerto parecchie volte nel corso di quell’anno. È stata un’esperienza che mi ha soddisfatto profondamente e non mi è bastata! Nel 2015 ho poi presentato tutti i Preludi del libro II e ho iniziato a prepararmi ad aggiungere le Fughe…
E così nel settembre 2015, nell’ambito degli eventi annuali del Beethoven UnFestival, ho presentato per la prima volta l’intero Clavicembalo ben temperato in un’unica esibizione (con tre intervalli), accompagnato da otto ballerini della leggendaria compagnia di danza moderna di Chicago Hubbard Street Dance che ha improvvisato (con poche regole fissate) durante l’intera performance. È stata un’esperienza incredibile, che mi ha permesso di accedere a livelli più profondi, o più alti, a seconda della prospettiva, del potere della musica. Suonare per così tanto tempo ha creato in me e pure nei ballerini, uno stato di trance. Penso che anche il pubblico abbia avuto la stessa sensazione! L’esperienza mi ha dimostrato che ero grado di scalare questa montagna e i ballerini mi hanno aiutato a percepire cose che non avevo mai notato prima nella musica. Il loro movimento, ciò che ascoltano mentre si muovono, sono linee musicali segrete che si delineano visivamente, armonie nascoste, ritmi inaspettati… I ballerini mi hanno insegnato ad ascoltare da un’altra prospettiva questa musica, liberando le mie orecchie per ascoltarla come se fosse la prima volta, senza le abitudini e le aspettative di ascolto aprioristiche che accumuliamo nella nostra formazione musicale tradizionale. L’esperienza mi ha aiutato davvero a suonarla senza sentire il peso della tradizione. Me la sono lasciata del tutto alle spalle.
Da quel momento in poi, ho iniziato a pensare seriamente alla registrazione di queste composizioni, anche se non sapevo da dove iniziare, dove andare, come prepararmi, come finanziarla o quando trovare il tempo… Queste domande sono state con me per mesi e mesi. Poi, nel giugno 2016, ho deciso: proprio come i ballerini mi avevano aiutato ad abbandonare i miei preconcetti sul Clavicembalo ben temperato mi è sembrato chiaro che la condizione necessaria alla riuscita era abbandonare tutte queste preoccupazioni. E così l’ho fatto, prendendo la decisione di registrare quest’album il prima possibile; avrei affrontato ogni ostacolo a tempo debito quando l’avrei trovato di fronte a me. Ho smesso di essere il mio stesso ostacolo e questa è stata la più importante lezione appresa sul piano personale che, ormai più di tre anni dopo, mi sembra ancora la chiave giusta e il segreto per fare qualsiasi progresso nella vita. Ho deciso di muovermi liberamente nella direzione che volevo, non erano più consentite scuse! E indovina un po’? Da quel momento in poi, ogni volta che c’era un problema, ecco anche che la soluzione si presentava immediatamente o di lì a poco.
Perché, dopo l’emozionante organizzazione di un evento complesso come un festival musicale, hai cercato anni o mesi di solitudine e silenzio, fondamentali all’artista per la creazione, ma che ti costringono a stare lontano dal pubblico? Nel documentario, ti riferisci specificamente a questa fase della tua vita come “una fine e un inizio” … dimmi di più su questo aspetto.
Organizzare un festival musicale è davvero complesso e, sebbene emozionante, toglie energia all’interprete. In quel momento della mia vita avevo bisogno di trovare un equilibrio e tornare al pianoforte, e in particolare a Bach, era molto importante per me. Ma non ho smesso di fare l’organizzatore! Ogni anno dal 2011 ho organizzato una differente versione del festival: il Beethoven Festival, il Beethoven UnFestival, la serie Beethoven Birthday Bash per celebrare il compleanno del compositore… insomma, non si è mai fermato! In effetti, durante l’intero periodo della registrazione bachiana, oltre alle mie responsabilità di presidente e direttore artistico dell’International Beethoven Project, ho realizzato questa registrazione nell’agosto 2017 mentre stavo organizzando un importante festival cinematografico di Chicago programmata nel novembre di quell’anno (CIMMfest)… Era tutto un po’ folle.
Il periodo di registrazione stesso è stato davvero una fine e un inizio, una svolta importante nella mia vita, per diversi motivi. Innanzitutto, è stato il culmine della mia preparazione in vista della registrazione (ci vogliono veramente decenni per diventare un musicista!). Imparando a suonare, esibendomi e poi registrando l’intero Clavicembalo ben temperato mi sentivo, e continuo a sentirmi, come se questo dovesse essere l’autentico “esame finale” per diventare un vero musicista, almeno per me.
Davvero? Hai ancora bisogno di esami? Sto scherzando, ovviamente…
Davvero! È l’ultima cosa necessaria per trovare la mia vera voce, superando alcune delle più grandi sfide artistiche e tecniche della letteratura per tastiera. Penso che essere riuscito a registrare questo capolavoro in cinque giorni sia stata la mia tesi di laurea. Simboleggia la fine del mio apprendistato e rappresenta anche l’inizio della mia vita come musicista fatto e finito, titolo che sento di aver davvero guadagnato sul campo grazie a quest’esperienza, anche se c’è sempre molto altro da imparare, e nonostante un musicista debba sempre rimanere umile davanti ai giganti la cui musica è felice di poter interpretare.
È stata anche la fine per altri motivi: solo sei settimane prima dell’inizio delle sessioni di registrazione, ho perso Nicole Laury-Lepauw, la mia amata zia paterna, cui ero estremamente vicino e alla cui memoria ho dedicato questo album. Questa morte mi ha colpito molto profondamente e a causa di questo shock emotivo stavo quasi per cancellare la registrazione. Mi sono spinto a continuare ed era giusto che lo facessi. Era anche l’unico modo per vivere completamente il lutto, attraverso le note Bach che offrono una profonda consolazione. Ho riflettuto molto sulla morte e ho pensato anche alla morte rispetto a Bach, compositore che perse molti suoi cari (i genitori quando aveva solo dieci anni, la sua prima moglie, dieci dei suoi figli in giovane età, altri membri della sua famiglia e amici…). La sua musica va dritta al cuore della fragilità della vita, nel dolore dell’esistenza. Ma ogni volta, Bach riemerge dalla tristezza, dal dolore e dalla sofferenza profonda, riaffermando con ottimismo la bellezza della vita e il nostro privilegio di essere vivi.
L’estate del 2017 ha segnato la mia vita a diversi livelli: ho trovato il mio posto nel mondo, definito le mie scelte professionali e personali e impresso radicali aggiustamenti alla direzione che aveva preso la mia vita. Quest’esperienza focalizzata su Bach mi ha aiutato a riaggiustare tutto il mio corso di vita perché mi ha costretto a riconnettermi con il mio io interiore, la mia vera natura.
Ciò che è accaduto nella mia vita dopo quell’estate e nei mesi seguenti nella mia vita professionale ha dato vita ad alcuni cambiamenti. Ho incontrato la donna della mia vita e mi sono trasferito da Chicago a Parigi; molte nuove porte si sono aperte di fronte a me quando ho trovato il coraggio di essere onesto con me stesso…
Quindi sì, nel film affermo che si tratta di una fine e un inizio, e allora non sapevo neanche quanto fosse vero! La saggezza di Bach mi ha fatto veramente bene!
Potevi dedicarti a milioni di capolavori per pianoforte (per nominarne solo alcuni: gli Studi sinfonici di Schumann, l’Arte della fuga di Bach, le Variazioni Diabelli di Beethoven, gli Études-Tableaux di Rachmaninoff). Perché hai scelto il Clavicembalo ben temperato?
Bene, il Clavicembalo ben temperato è l’inizio! È il primo suono, la Parola pronunciata da Dio per creare il mondo! Sì, lo so che esiste una grande musica che precede Bach, ma in senso simbolico, il Clavicembalo ben temperato di Bach è il fondamento della musica, anch’esso fine e inizio. Secondo una vecchia tradizione il Clavicembalo ben temperato è l’“Antico Testamento” della musica mentre le Sonate di Beethoven sarebbero il “Nuovo Testamento” della musica.
Sono entusiasta di aver portato a termine questo progetto e ora di essere pronto ad affrontare altra musica. Il mio prossimo grande progetto è di registrare tutte le Sonate di Beethoven. Questa è un’altra montagna che devo scalare, mentre approfondisco la conoscenza di me stesso come essere umano e la mia musicalità. Ma ho anche intenzione di registrare e pubblicare musica di Chopin, Debussy, Rameau, Brahms, Scarlatti, Rachmaninoff, Messiaen e altri negli anni a venire. Amo la musica e come pianista ho accesso a grandi quantità di letteratura musicale. Non sarò in grado di fare tutto ciò che amo in questa vita, ma sento di avere certe affinità con determinati compositori e voglio trascorrere del tempo con la loro musica. Prevedo di esibirmi e registrare molta musica nei prossimi dieci anni, e ne sono molto entusiasta.
Come ti misuri con le grandi interpretazioni del passato (solo per nominare l’interpretazione di riferimento, almeno secondo me, quella di Glenn Gould)?
Non lo faccio. Come ho detto prima, ho una mia relazione personale con Bach e con il Clavicembalo ben temperato. Mi appartiene. E ho avuto la fortuna di rendermi conto che dovevo guardare questa musica con nuovi occhi, orecchie e sentirla con dita “vergini”, senza aver preconcetti su “come suonare Bach”. Ho dovuto strappare la camicia di forza, spezzare le catene e fuggire da quel manicomio che l’educazione musicale è diventata. Dal momento in cui ho ottenuto la mia libertà, ho trovato la mia voce e ho instaurato un rapporto personale e onesto con Bach, senza più intermediari che si immischiassero con la semplicità delle note sulla carta. Quando ero più giovane e non avevo ancora fiducia nella mia interpretazione, ho imparato molte cose ascoltando i grandi maestri. Ma dal momento in cui ho trovato la mia libertà, sapevo che qualsiasi cosa avessi fatto con Bach sarebbe stata per me autentica e non sarebbe assomigliata alla versione di qualcun altro. In poche parole, mi sono fidato del mio istinto e sono partito.
In termini generali, posso anche dire che, prendendo Glenn Gould come esempio, la sua esperienza del mondo non è paragonabile alla mia, e quindi il suo Bach, sebbene in qualche modo “senza tempo”, è anche figlio dell’epoca in cui viveva, mentre il mio Bach parla dell’attualità, del tempo che viviamo noi oggi. Per dirla semplicemente: sono un musicista che ha un iPhone e che a volte ascolta i Daft Punk e Lady Gaga. Sono ad esempio profondamente consapevole e preoccupato per la crisi climatica che il nostro mondo sta affrontando e per i numerosi problemi politici, questioni molto attuali. Inconsciamente, queste cose e molte altre che fanno parte del mondo di oggi e della mia vita personale, mettono radici e incidono sul modo in cui ascolto, e di conseguenza suono, Bach. Questo è uno dei motivi per cui è sempre utile reinterpretare i più grandi lavori di tutti i tempi, anche se sono già state registrate versioni “definitive”. L’energia è diversa e ogni voce, se è autentica, è unica. Per proseguire con questo progetto, avevo solo bisogno di sapere con certezza che la mia voce era pronta per uscire e farsi sentire. E lo era. E così ho fatto!
Com’è possibile fare degli utili oggi con un progetto musicale (solo per fare un esempio: la popolare app di streaming musicale Spotify paga da $ 0,006 a $ 0,0084 per stream al detentore dei diritti musicali)?
Beh, è un cliché dirlo, ma van Gogh non ha mai venduto un solo dipinto in vita sua. Eppure ha dipinto. Perché? Un vero artista ha qualcosa da dire e non può trattenersi, indipendentemente dalla realtà economica che lo circonda. Il mio primo istinto è stato di realizzare questa registrazione. Da quel momento in poi, come già detto, ho affrontato gli ostacoli mentre si presentavano.
Tuttavia, le questioni finanziarie che sollevi sono importanti perché costa fare una registrazione e perché anche un musicista deve guadagnarsi da vivere. Lo svantaggio della musica in streaming è sicuramente la percentuale estremamente bassa data al detentore dei diritti intellettuali per il suo lavoro. Ma il vantaggio è che questa musica raggiungerà molte più persone rispetto alle registrazioni fisiche cui eravamo abituati in passato. Non mi preoccupo del problema dello streaming. So già che i guadagni che verranno dallo streaming saranno modesti. Ma so anche che i veri fan della musica classica e di Bach saranno felici di acquistare il cofanetto: se nel corso di un anno ne venderemo un centinaio o poche migliaia, il ritorno finanziario sarà onorevole. Tuttavia, la realtà è che il costo di creazione dell’album non sarà probabilmente compensato dalle vendite, almeno per un certo tempo. Fortunatamente ho trovato sovvenzioni e donatori che hanno coperto i costi di realizzazione di questo album ambizioso, in collaborazione con l’International Beethoven Project, senza il quale sarebbe stato impossibile. Tutti dobbiamo essere creativi per trovare i mezzi per fare arte, ma questo è sempre stato vero.
Perché hai scelto un doppio medium? La registrazione audio, ma anche il video?
Per me era essenziale realizzare un album che includesse una versione visiva dell’audio (abbiamo filmato l’intera registrazione) e volevo anche raccontare la storia del Clavicembalo ben temperato e del viaggio intrapreso per registrarlo. Purtroppo, la musica classica appare arida e distante a molte persone, in particolare ai giovani, i quali a volte pensano che sia davvero musica vecchia fatta per un’altra generazione. Conoscere le storie affascinanti dietro la musica, i compositori, gli interpreti conferisce a tutto ciò un’altra vita e apre il cuore delle persone a ciò a cui teniamo di più, che è la musica stessa. Sapere che Bach ha trascorso un mese in galera e che lì ha sviluppato la sua idea per il Clavicembalo ben temperato può far la differenza nel modo in cui percepiamo quest’uomo e la sua musica nata dopo uno sforzo compositivo notevole. Vedermi visitare la cella della stessa prigione riesce a trasportare questa storia nel mondo di oggi. Non è quindi solo una storia antica, ma è una storia raccontata nel presente, vissuta nel presente ed espressa nella lingua di oggi.
Nel mondo di oggi estremamente visivo, basato principalmente su immagini e video e non sull’ascolto, quanto è importante che un musicista si prenda cura della sua immagine pubblica?
Immagine? Non mi interessa molto. Ma mi interessa mostrare cose, mi preoccupo di raccontare storie e di coinvolgere le persone attraverso quelle storie e, soprattutto, mi preoccupo di attirare le persone verso la musica che ritengo essenziale per la stato delle nostre anime. E, certo, è importante pensare in termini di immagine per diffondere questo messaggio, ma non può essere un processo fine a se stesso. Buone foto, un buon sito web (ne abbiamo sviluppato uno interamente dedicato all’album: https://bach48.com/), il film, il trailer, un buon piano di comunicazione e marketing per portare le persone a scoprire il progetto, tutto ciò è certo importante, ma non può esistere a scapito dell’arte. Penso che in realtà sia un tabù, specialmente nella musica classica, essere un artista e allo stesso tempo essere bravo nel marketing e negli affari. Purtroppo, le due cose non si escludono a vicenda, ma sicuramente l’una non garantisce l’altra. Un grande musicista può essere tremendo nella promozione di se stesso, mentre un terribile musicista può essere un maestro del marketing, inducendo il pubblico a sostenere la sua arte anche se non è nulla di che. Ma se un buon musicista sa anche come gestire i suoi affari, è un’ottima combinazione perché significa che sempre più persone trarranno beneficio dal conoscere opere d’arte significative e importanti. Ho buone idee e un piano, ma solo il tempo dirà se riuscirò a diffondere questo lavoro presso un pubblico ampio! Soprattutto, rimarrò fedele a me stesso e non farò mai cose che andranno contro la mia natura, neanche in nome degli affari…
La registrazione video è andata avanti insieme alla registrazione? Fare un documentario (essere filmato, intendo) mentre realizzi un album non ti ha mai distratto?
In effetti, la registrazione video è stata parte del processo di registrazione audio nel corso delle cinque intere giornate trascorse alla Jakobskirche di Weimar. Oltre a filmarmi mentre suonavo il piano, i registi (Martin Mirabel e Mariano Nante) mi hanno seguito con le telecamere prima, durante e dopo la registrazione mentre visitavo i vari luoghi in cui Bach ha vissuto e lavorato. Per quanto possa essere fonte di distrazione, sono stato molto fortunato perché sia Martin che Mariano, oltre a essere estremamente professionali, mi hanno accompagnato emotivamente durante tutta quest’esperienza e la loro presenza, insieme a quella del produttore audio Harms Achtergarde, sono diventati essenziali per me nel saper dare tutto me stesso a questa musica e al progetto. Mi hanno sollecitato ad essere al mio meglio, ma mi hanno anche supportato con gentilezza e sincera generosità. Sono stato davvero fortunato e ritengo che la loro presenza spirituale lasci i segni in questa registrazione. Senza di loro il risultato sarebbe stato diverso.
Nel diciannovesimo e diciottesimo secolo i compositori andavano in visita dai loro idoli. Tu hai fatto invece una sorta di “viaggio iconografico” che completa e/o integra la tua registrazione del Clavicembalo ben temperato: lo trovo fantastico! Hai seguito le tracce della vita di Bach, come in un pellegrinaggio, proprio nella sua terra: perché hai fatto questa scelta?
Avevo bisogno di entrare in contatto con l’uomo Bach. Abbiamo così poche tracce del suo passaggio sulla Terra come essere umano, oltre alla musica (che è eccezionale, ovviamente)! Pochissime lettere, e tra quelle quasi nessuna che riveli qualcosa su di sé, tutto l’opposto di Beethoven o Mozart che hanno scritto centinaia di lettere dalle quali possiamo capire e scoprire molto della loro persona. Quindi, mentre è possibile “conoscere” Beethoven leggendo biografie e le sue lettere, è quasi impossibile “conoscere” Bach così. Non solo: essendo nato più di tre secoli fa, il mondo a cui apparteneva lo percepiamo molto lontano dal nostro, molto più di quello di Beethoven nel diciannovesimo secolo. Desideravo quindi saperne di più dell’uomo, camminando sui suoi passi, respirando l’aria che respirava, osservando i paesaggi e l’architettura che gli erano familiari, e in generale collegandomi allo spirito del suo tempo e dei suoi luoghi. Ho dovuto e voluto essere fisicamente a contatto con lui il più possibile, ed è per questo che sono andato a visitare la regione della Turingia e le città in cui Bach ha vissuto e lavorato. Ho cominciato anche prima di dar avvio alla registrazione, nel tentativo di avvicinarmi a lui il più possibile, sperando che qualcosa mi si rivelasse. E sorprendentemente, ho trovato più di quanto mi aspettassi: mi sono riconnesso con l’uomo di Bach, il che ha reso più facile anche il mio rapporto con la sua musica. Ho potuto empatizzare con lui, con la sua esperienza, in modi a me del tutto inaccessibili in precedenza: specialmente nell’approccio accademico che si è sviluppato nei confronti della musica di Bach, che a mio avviso lo inaridisce, svuotandolo dal suo autentico e vigoroso spirito! Hai ragione, è stato una sorta di pellegrinaggio, ma non per trovare Bach il Dio, ma per andare attraverso la Terra e ritrovare Bach in carne ed ossa.
Quanto è durato il viaggio attraverso le città di Bach e qual è stato il posto più emozionante che hai visitato?
In realtà, si è trattato di tre distinti viaggi in Turingia, in modo da potermi familiarizzare in modo non superficiale con quei luoghi. Il primo è stata anche la mia prima esperienza in questa zona della Germania centrale. Ho viaggiato per una settimana, nel marzo 2017, partendo da Eisenach, la città natale di Bach: dove c’è un grande museo nella casa natale di Bach (Bachhaus http://bachhaus.de/en/home), una sua bellissima statua, la chiesa dove fu battezzato e dove cantò nel coro, e il famoso castello di Wartburg http://www.viaggio-in-germania.de/wartburg.html dove Lutero trovò rifugio per tradurre la Bibbia in tedesco, il che ebbe un’influenza profonda, in Germania e, in particolare, su Bach.
Sono poi andato a Ohrdruf, dove Bach fu inviato dopo la morte di entrambi i suoi genitori quando aveva circa dieci anni, un luogo dove ha vissuto per cinque difficili anni con il fratello maggiore. Ho scoperto che questa città di trova davvero “nel mezzo del nulla”, rispetto alla gioviale Eisenach, in cui dovette esser stato particolarmente difficile per Bach adattarsi alla sua nuova vita.
Ho visitato Arnstadt, dove Bach ha trascorso quattro anni come organista nella Neukirche, oggi ribattezzata Bachkirche (chiesa di Bach). Fu ad Arnstadt che Bach ebbe dei contrasti con uno dei suoi allievi che culminarono con un’aggressione da parte di un fagottista (e così Bach dovette persino tirare la spada!).
Poi sono andato a Weimar, dove Bach dal 1708 ha trascorso nove anni ricoprendo vari incarichi lavorativi e dove ha finito per essere imprigionato perché contravvenne al suo contratto di lavoro chiedendo un permesso di troppo. Weimar è stata una grande scoperta per me, un luogo felice, pieno di importanti presenze artistiche come Lucas Cranach, e oltre a Bach, Goethe e Schiller, Liszt… Questa città è stata estremamente ben restaurata e si può intuire che vita Bach facesse. A Weimar ho registrato quest’album, ed è stato durante quel primo viaggio che ho scoperto, quasi per caso, la Jakobskirche: un luogo che immediatamente mi è sembrato giusto per questa registrazione.
Ho anche viaggiato a Köthen, dove Bach ha trascorso cinque anni alla corte calvinista del Principe Leopoldo di Anhalt-Köthen, e infine a Lipsia, dove Bach ha trascorso gli ultimi ventisette anni della sua vita come Kantor e dov’è sepolto.
Sono tornato a Weimar nell’agosto 2017 per effettuare la registrazione e di nuovo nel febbraio 2018 per finalizzare la registrazione con il mio produttore audio.
Come hai scelto il luogo di registrazione e perché?
Era il crepuscolo del 6 marzo 2017 quando mi sono avvicinato per la prima volta alla Jakobskirche che si trova in cima a una collinetta nell’attuale periferia dell’antica Weimar. Mi sono sorpreso perché ho trovato la porta aperta – il che forse già dice molto sulla natura di questo progetto – nonostante secondo l’orario di apertura ufficiale dovesse essere chiusa. Entrai e trovai questa chiesa vuota, non così tanto grande, calda, intima, costruita principalmente in legno con due ordini di balconate, come d’uso nelle chiese barocche di queste parti, e con un’acustica molto calda. Ho immediatamente pensato che sarebbe stato un ottimo posto per registrare se avessi potuto farlo. E in effetti, lo era davvero! Questo è un luogo che rimarrà sempre nel mio cuore.
Cosa ti auguri per questo progetto?
Ho voluto farlo anzitutto per me stesso: era importante per me come essere umano e come musicista, e sono entusiasta di essere stato capace di soddisfare questa mia esigenza. Ora vorrei che le persone scoprissero la registrazione e, ascoltandola attentamente, la rendessero parte delle loro esperienze, appropriandosi col proprio io interiore del significato di questa musica. Il Clavicembalo ben temperato di Bach cura le anime, per così dire, almeno così è riuscito a fare con me. Spero davvero che questa registrazione possa portar beneficio anche alle persone che hanno davvero bisogno di consolazione o che sentono la necessità di entrare in un più profondo contatto con se stessi. In una grande varietà di modi e significati, questa musica è molto intima e ogni persona che la ascolta riuscirà a farlo attraverso la propria storia personale. Quindi: vedremo! Ma ora è libera di andare nel mondo, non è più nelle mie mani…
Benedetta Saglietti
Benedetta Saglietti è una storica della musica italiana, studiosa beethoveniana. È attiva come ricercatrice in diversi campi del sapere ed esperta di iconografia musicale. Nel 2020 apparirà il suo nuovo saggio La Quinta Sinfonia di Beethoven recensita da Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (Donzelli), arricchito da una prefazione in forma di dialogo a due voci con Riccardo Muti.
Saglietti ha contribuito al catalogo della grande mostra dal titolo Ludwig van. Le mythe Beethoven (Gallimard 2016) organizzata alla Cité de la musique, Philharmonie de Paris. In precedenza aveva curato il racconto di De Vienney Una visita a Beethoven (La Scuola di Pitagora, 2014), tradotto da Bruno Nacci. Il suo primo, acclamato libro Beethoven, ritratti e immagini (EDT-De Sono) è apparso nel 2010; immediatamente, nel 2011, la studiosa è stata invitata a Chicago al primo Beethoven Festival curato dall’International Beethoven Project.
Si è poi interessata della relazione tra musica e colore e quindi ha condotto, tra Germania e Italia, uno studio quadriennale sulla rappresentazione autobiografica e sui viaggi dei musicisti di lingua e cultura tedesca, conseguendo il dottorato in Storia moderna. Nel 2016 ha co-curato, a quattro mani con Giangiorgio Satragni, la nuova edizione dello Strawinski, di Alfredo Casella (Castelvecchi), prima biografia del compositore russo.
Il suo progetto multimediale sul Pierrot lunaire di Schönberg, concepito assieme a Valentina Manchia e basato sul lavoro del graphic designer francese Massin, ha debuttato nell’estate del 2018 a Verbania, nell’ambito dello Stresa Festival.